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Diritto all’oblio nella riforma Cartabia

L’iter di riforma del processo penale ha avuto inizio con la legge delega n. 134 del 21 settembre 2021, attuata con il decreto legislativo n. 150 del 10 ottobre 2022, la cui entrata in vigore è stata recentemente rimandata alla fine dell’anno. 

Il nuovo articolo 64-ter delle disposizioni attuative del codice di procedura penale prevede un principio e criterio direttivo ispirato al c.d. diritto all’oblio, ovvero il diritto, già previsto dall’articolo 17 del Regolamento UE 679/2016 (c.d. “GDPR”), dell’interessato alla cancellazione (o meglio alla “deindicizzazione” trattandosi di Internet) dei dati personali che lo riguardano. Tale previsione si giustifica a maggior ragione in relazione alla dimensione digitale, in quanto lamemoria dei motori di ricerca come Google è potenzialmente perpetua e ciò confligge con la fondamentale esigenza, valorizzata nel Regolamento europeo, di limitazione della conservazione dei dati, che non può eccedere il tempo necessario alla finalità per cui sono stati raccolti e trattati. 

La norma introdotta dalla riforma Cartabia stabilisce che:

“1. La persona nei cui confronti sono stati pronunciati una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero un provvedimento di archiviazione può richiedere che sia preclusa l’indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016. […]  

2. Nel caso di richiesta volta a precludere l’indicizzazione, la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento appone e sottoscrive la seguente annotazione, recante sempre l’indicazione degli estremi del presente articolo: «Ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, è preclusa l’indicizzazione del presente provvedimento rispetto a ricerche condotte sulla rete internet a partire dal nominativo dell’istante». 

3. Nel caso di richiesta volta ad ottenere la deindicizzazione, la cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento appone e sottoscrive la seguente annotazione, recante sempre l’indicazione degli estremi del presente articolo: «Il presente provvedimento costituisce titolo per ottenere, ai sensi e nei limiti dell’articolo 17 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, un provvedimento di sottrazione dell’indicizzazione, da parte dei motori di ricerca generalisti, di contenuti relativi al procedimento penale, rispetto a ricerche condotte a partire dal nominativo dell’istante”. 

La tutela piena ed effettiva nei confronti dei destinatari di provvedimenti di archiviazione o di proscioglimento deve attuarsi, secondo il suggerimento del Garante per la protezione dei dati personali, attraverso un sistema di doppia deindicizzazione (o di deindicizzazione, per così dire,“rafforzata”). Ed invero, è necessario precludere l’immissione nei motori di ricerca di notizie attinenti dati sensibili dei soggetti (trattandosi di dati giudiziari) in ossequio alla presunzione di innocenza e, al contempo, rimuovere ex post qualsiasi link riferito ai nominativi degli interessati. 

Le stesse considerazioni (sebbene la legge non preveda nulla in merito a ciò) dovrebbero essere svolte anche nei confronti dei destinatari di provvedimenti di condanna che, trascorso un adeguato lasso di tempo e venuto meno l’interesse alla notizia, in ossequio al principio secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione e al reinserimento del reo nella società, hanno il diritto ad essere dimenticati dopo aver scontato il proprio debito con la giustizia. 

Nondimeno, il diritto “ad essere dimenticati” deve necessariamente essere bilanciato con il diritto di cronaca giornalistica, che si estrinseca nella possibilità dei cittadini di essere compiutamente informati su fatti di interesse pubblico.

Ed invero, la stessa Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza del 22 luglio 2019, n. 19681 ha affrontato il tema, enunciando il seguente principio di diritto: “In tema di rapporti tra il diritto alla riservatezza (nella sua particolare connotazione del c.d. diritto all'oblio) e il diritto alla rievocazione storica di fatti e vicende concernenti eventi del passato, il giudice di merito - ferma restando la libertà della scelta editoriale in ordine a tale rievocazione, che è espressione della libertà di stampa e di informazione protetta e garantita dall'art. 21 Cost. - ha il compito di valutare l'interesse pubblico, concreto ed attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che di quei fatti e di quelle vicende furono protagonisti. Tale menzione deve ritenersi lecita solo nell'ipotesi in cui si riferisca a personaggi che destino nel momento presente l'interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà che per il ruolo pubblico rivestito; in caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell'onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva”. 

A tal proposito, l’Ordine Nazionale dei Giornalisti ha organizzato un incontro, svoltosi in data 20 ottobre 2022, finalizzato ad un approfondimento e ad un confronto in merito alle novità introdotte dalla riforma Cartabia. I promotori del convegno, tra cui l’avvocato Guido Scorza in qualità di componente del Garante per la protezione dei dati personali, hanno sollevato dubbi e perplessità sulla nuova normativa. 

In primo luogo, si è posta l’attenzione sul sistema di deindicizzazione c.d. preventiva, osservando come tale fattispecie non rientri nell’alveo del diritto all’oblio, che riguarda fatti di cui si è avuta notizia, non potendo essere coperto da oblio, invece, ciò che è sempre stato sconosciuto.

Un’ulteriore osservazione è stata fatta rispetto al modus operandi previsto dalla norma: l’apposizione e la sottoscrizione pressoché automatica nella sentenza penale di un’annotazione da utilizzare per ottenere la deindicizzazione delle notizie che riguardano l’indagato/imputato. Peraltro, tale meccanismo affida la suddetta attestazione non al giudice che ha emesso il provvedimento assolutorio (che ben potrebbe valutare la rilevanza pubblica della notizia e, dunque, ritenerla non meritevole di cancellazione nel contemperamento di interessi costituzionalmente tutelati) quanto alla sua cancelleria. 

La legge non precisa, poi, se sussista la possibilità da parte dei giornalisti di presentare opposizione rispetto all’annotazione posta in calce alla sentenza o al provvedimento, al fine di consentire la diffusione di notizie ritenute di pubblico interesse. Neppure si comprende, nel caso in cui tale facoltà sia accordata, dinanzi a quale autorità si debba agire. 

Alla luce delle considerazioni svolte, dunque, il rischio conseguente all’entrata in vigore della norma potrebbe concretizzarsi nell’aumento del contenzioso a causa della necessità di garantire il bilanciamento di diritti di rango costituzionale da parte di un’autorità terza ed imparziale.