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Valute virtuali: inquadramento normativo e soggezione a tassazione delle valute virtuali

TAR LAZIO, sez. III ter, 28 gennaio 2020, n. 1077 - Pres. Morabito - Est. Gatto Costantino – AssoB.It e Blockchainedu c. Agenzia delle Entrate

La definizione della valuta virtuale, presente nella normativa italiana antiriciclaggio, ha delle ricadute anche ai fini di trattamento fiscale del titolare, e permette una qualificazione di tipo funzionale, ovvero diversa in base alla finalità dell’impiego e dell’utilizzazione della stessa. La duplice possibilità di compiere, attraverso la moneta elettronica, operazioni di acquisto di beni e servizi, ovvero di detenerla con finalità di investimento, viene recepita dal legislatore, e applicata dal Giudice. Ancora ben lontana dal rappresentare un quadro univoco e consolidato, la natura giuridica della valuta virtuale comincia ad essere oggetto di contendere anche in sede amministrativa, e ad animare il dibattito in materia.

Nella sentenza in commento il TAR Lazio ha respinto, per inammissibilità e infondatezza, il ricorso di due associazioni impegnate nella diffusione dei bitcoin, nonché della cultura e della tecnologia (la blockchain) sottese, le quali agivano per ottenere l’annullamento di due provvedimenti dell’Agenzia delle Entrate di approvazione e modifica al modello di dichiarazione “Redditi 2019-PF” e delle relative istruzioni, nella parte in cui annoverano le valute virtuali tra le investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria.

In tesi delle ricorrenti, l’Agenzia delle Entrate avrebbe diramato tali istruzioni, solo per ciò che attiene alle valute virtuali, senza un provvedimento amministrativo e senza che sussistessero in esse caratteri e natura tali da consentirne l’assimilazione a redditi di natura finanziaria, ovvero per mancata inclusione nell’art. 6 TUIR.

Il TAR non ha accolto la tesi prospettata, evidenziando che i provvedimenti impugnati non costituiscono il titolo da cui tra origine la tassazione della moneta, bensì trattasi di atti meramente ricognitivi di una disciplina generale che ha la propria fonte nel Testo Unico delle imposte sui redditi (precisamente nell’art. 67).
Il caso portato all’attenzione del TAR Lazio è di interesse, in questa sede, non tanto per lo specifico oggetto del contendere (che, come evidenziato del Giudice, appare finalizzato, nelle intenzioni delle ricorrenti, ad avanzare una critica di principio dell’imposizione fiscale delle moneta elettronica), quanto per la possibilità che offre all’interprete di comprendere lo stato del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla natura giuridica della moneta elettronica, sulla normativa che ad oggi l’ha disciplinata e sugli scenari che si prospettano in materia.

Allo stato attuale, stante il ritardo del legislatore comunitario e italiano nel disciplinare le valute virtuali, la scarsità di pronunce di cui sono oggetto di contendere, nonché la diffusione ancora limitata del fenomeno, il dibattito sull’inquadramento normativo delle monete elettronico è ancora aperto e non ha raggiunto punti fermi. A tal proposito, si concorda sulla riflessione del Collegio giudicante che, nella pronuncia in commento, afferma di apprezzare il recentissimo sforzo del legislatore di ricondurre a fattispecie giuridiche esistenti il bitcoin, precisamente inquadrandolo come “mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento[1]. In particolare, l’aggiunta, ad opera della novella del 2019 alla normativa antiriclaggio, della “finalità di investimento”, precedentemente non contemplata, dimostra la scelta del legislatore di valorizzare la principale caratteristica della moneta elettronica, ovvero la sua duttilità, ampliando le maglie della sua definizione[2]. L’applicazione giurisprudenziale, nel caso de quo, di questa duplice funzione della valuta virtuale, ha come conseguenza che, ai fini della relativa imposizione fiscale, quel che rileva non è il mero possesso, bensì il “loro impiego e la loro utilizzazione entro il novero delle diverse operazioni possibili”, come evidenziato dal TAR Lazio. Questo sforzo onnicomprensivo, operato dal legislatore e accolto in pieno dal Giudice Amministrativo, non solo, ad opinione di scrive, chiarisce le conseguenze ai fini del trattamento fiscale delle operazioni poste in essere attraverso la moneta elettronica (che dunque dipendono dalla finalità che l’utilizzatore intende conseguire, mezzo di scambio o investimento) ma soprattutto rappresenta un primo passo verso la maturazione del dibattito giuridico intorno ad essa. In altre parole, nel caso in esame, può dirsi che il diritto, sia in astratto che in concreto, comincia a familiarizzare con la valuta virtuale e a comprenderne una delle peculiarità: la sua natura intrinsecamente poliedrica, che, secondo alcune riflessioni che qui si condividono, ha come conseguenza l’impossibilità di una qualificazione giuridica unitaria[3]. Quanto, invece, alla posizione che la riconduce nell’alveo dei “beni immateriali” ai sensi dell’art. 810 cod.civ., citata dal Collegio come una delle possibili interpretazioni, non si concorda con chi ha avanzato una siffatta proposta[4]. Diversamente, si conviene con chi, in dottrina ha evidenziato le criticità di questa impostazione, in particolare sottolineando che la moneta elettronica non è un’opera dell’intelletto, essendo generata da un protocollo informatico; non è riproducibile; non può essere utilizzata contemporaneamente da più soggetti e, soprattutto, non è tipizzata espressamente dal legislatore[5].

Un ultimo-tuttavia non meno rilevante- profilo del provvedimento in esame su cui si intende porre attenzione è contenuto al punto X), ove il Giudice ha chiarito che la doglianza delle ricorrenti relativa alla asserita “non territorialità” della moneta elettronica ed ai criteri di collegamento col titolare dei relativi valori, in quanto non sollevabile in astratto in sede di giurisdizione generale di legittimità, esuli dalla propria competenza. In sostanza, secondo il TAR, l’aspetto della territorialità rileva solo entro l'ambito di attuazione del singolo rapporto di imposta e deve pertanto essere dedotto di fronte al giudice munito di giurisdizione tributaria. Naturalmente si concorda sui profili di competenza espressi dal Collegio.Tuttavia, il riferimento ai profili connessi alla collocazione territoriale della valuta virtuale, non può che interpretarsi anche alla luce di una recente risoluzione dell’Agenzia delle Entrate sul punto. In sintesi, l’Agenzia delle Entrate, confermando l’orientamento espresso in precedenza dalla Corte di Giustizia UE, ha ribadito il regime di esenzione IVA dei bitcoin[6]. Ha introdotto, tuttavia, un elemento di novità, quando ha assimilato le monete virtuali alle valute estere.Tale scelta ha destato non poche critiche, con le quali si concorda, principalmente perché i bitcoin non hanno alcun corso legale in nessuno stato estero, per cui non si vede alcun motivo per il quale l’Amministrazione finanziaria abbia operato tale equiparazione[7]. Peraltro si ritiene che, in questo caso, il Giudice Europeo e l’Agenzia delle Entrate italiana abbiano dimostrato di non adottare, nell’interpretazione giuridica della valuta virtuale, un metodo in grado di cogliere la multiformità di questa.

Diversamente dal TAR Lazio, la Corte di Giustizia e L’Amministrazione Finanziaria si sono concentrate esclusivamente sulla fattispecie di scambio della moneta elettronica con valuta avente corso legale, la quale, come si è già detto, rappresenta solo una delle tante opzioni che questa consente; con ciò, probabilmente, sprecando un’occasione di chiarire molti interrogativi[8].

 

[1] L’art. 1, comma 2, lett. qq del D.Lgs. n. 231/2007, come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. h del D.Lgs. n. 125/2019 definisce la valuta virtuale come “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un'autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l'acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

[2] In relazione all’accostamento della valuta virtuale alla categoria degli strumenti finanziari, e alla valorizzazione della finalità di investimento sottesa alla sua detenzione, si veda Trib. Verona, Sez. II civ., 26 gennaio 2017, n. 195. Il Giudice Civile, citato anche dal TAR Lazio nel provvedimento in commento, anticipando il legislatore del 2019, aveva definito il bitcoin uno «strumento finanziario utilizzato per compiere una serie di particolari forme di transazioni on line costituito da una moneta che può essere coniata da qualunque utente ed è sfruttabile per compiere transazioni, possibili grazie ad un software open source e ad una rete peer to peer» e aveva ritenuto applicabile il Codice del Consumo ad un contratto stipulato con un platform exchange.

[3] S. Capaccioli, Criptovalute e bitcoin: un’analisi giuridica, Giuffrè, Milano, 2015 p. 130, secondo il quale ogni sforzo di un inquadramento giuridico univoco delle criptovalute sarebbe vano. 

[4] P.L. Burlone -R. De Caria, Bitcoin e le altre criptomonete, Istituto Bruno Leoni, Milano, 2014 in www.brunoleonimedia.it/public/Focus/IBL_Focus_234-De_Caria_Burlone.pdf. Gli autori ritengono che la definizione più corretta di bitcoin sia anche la più semplice, ovvero un bene mobile e, per la sua natura priva di qualunque supporto fisico, di bene immateriale. In tal senso anche Trib. Firenze, sez fallimentare, sentenza 18 del 21 gennaio 2019, il quale ha sequestrato 15 milioni di euro in bitcoin, presenti nell’exchange BitGrail. A tal fine, è stato creato un wallet di proprietà del Tribunale e nell’ambito del medesimo sono stati spostati i bitcoin.

[5] G. J. Sicignano, Bitcoin e riciclaggio, Giappichelli, Torino, 2019, p.90.

[6] L’Agenzia delle Entrate italiana, con la risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016, interpellata sul trattamento fiscale applicabile alle operazioni di acquisto e di cessione di moneta virtuale, ha escluso la rilevanza dell’attività ai fini IVA, allinendosi all’orientamento espresso sul punto dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza 22 ottobre 2015 Causa C-264/14 “Skatteverket (amm. Finanziaria) VS David Hedqvist”.

[7] Sul punto, si veda S. Capaccioli, Regime impositivo delle monete virtuali: poche luci e molte ombre, in Il Fisco, n. 37, 2016, p. 3538.

[8] F. Fassò, Il regime fiscale dei bitcoins secondo una recente (e unica) prassi amministrativa Un passo avanti e un’occasione mancata in https://sfef.egeaonline.it/it/61/archivio-rivista/rivista/3426835/articolo/3426901?hl=bitcoins. Secondo l’autrice, la Corte di Giustizia europea e l’Agenzia delle Entrate avrebbero potuto, nella perdurante assenza di una disciplina legislativa in materia, cogliere l’occasione per offrire una sistematizzazione del fenomeno nella sua complessità, allo scopo di dissolvere i residui dubbi circa il trattamento fiscale di tutte le possibili operazioni realizzabili attraverso i bitcoin.